Intervista a Sifu Alberto Riccardi
“Voglio continuare ad insegnare,
anche quando mi faranno male le ginocchia o la schiena…”
di Cristina Mascheroni
Conosciamoci meglio, chi è Alberto Riccardi?
“Sono nato il 2 agosto 1965, quindi ho 46 anni. Ho sempre amato lo sport, fin da bambino, ho iniziato a praticare arti marziali (Karate e Judo) nel 1978, a 12 anni, ma il calcio mi affascinava di più e quindi ho iniziato a giocare sempre più a pallone. A 17 anni, prima di cominciare la mia carriera agonistica in questo sport, dovevo giocare in C2, ho avuto in infortunio piuttosto serio durante una partita fra amici e ci ho rimesso le ginocchia. Ho affrontato molte operazioni, ma non sono più tornate quelle di prima, quindi ho dovuto lasciar perdere… Mi sono orientato verso altri sport, come il pugilato per esempio, che pratico tutt’ora, la Kick Boxing e via dicendo.”
Come sei arrivato al Wing Chun?
“Ai miei tempi ero affascinato dai film di Bruce Lee e leggendo i libri che lo riguardavano ho appreso che praticava una disciplina, inventata da lui, chiamata Jeet Kune Do, basata all’80% sulle tecniche millenarie del Wing Chun. Il suo maestro, il più famoso, fu Sijo Ip Man. Nel 1986 uscì un libro che celebrava il ricordo di Bruce Lee, incuriosito ho cercato i maestri conosciuti attraverso quel libro e mi sono appassionato sempre più a questa disciplina. Il Wing Chun è un’arte marziale per persone “deboli”, è stato inventato da una donna, ed essendo io “non di taglia grossa” sembrava lo sport idoneo a me. Pugilato e Kick Boxing ti consentono di affrontare sempre persone della tua taglia, mentre con il Wing Chun hai più spazio, è una tecnica che ti consente di fronteggiare qualsiasi persona. Effettivamente, ho iniziato a praticare questa disciplina nel 1987, allenandomi anche sei-sette ore al giorno, ma non ho mai smesso di praticare anche le altre arti marziali, anche se il Wing Chun mi è entrato nel cuore in quanto mi ha permesso di dimostrare che anche una persona piccola può fare la differenza.”
“Ho cambiato diversi maestri fino a quando ho conosciuto Sikung Shaun Rawcliffe, che è ancora oggi il mio maestro ed è stato allievo diretto del Grand Master Ip Chun, figlio di Ip Man. Quindi ho stabilito il mio legame con il mito Bruce Lee,” ci dice sorridendo, “se Bruce si è allenato con Ip Man io mi sono allenato con Ip Chun, suo figlio!”
Sei partito come allievo, dove sei arrivato oggi nel Wing Chun?
“Sono ancora un allievo e vorrò esserlo sempre. Certo, ci sono delle gerarchie all’interno del Wing Chun, inizi come allievo poi trasmetti il tuo sapere, diventi un istruttore ed inizi ad insegnare a quelli più giovani di te finché un giorno, quando diventi vecchio, ti accorgi che ti chiamano tutti Maestro, senza sapere perché, quasi fosse una cosa scontata; ti chiamano così solo perché ti vedono più grande di loro, un anziano, non una persona che può trasmettere il sapere, e questo è molto triste. Finché le mie gambe me lo permetteranno voglio continuare ad allenarmi, perché mi piace e mi fa stare bene; ho girato tutto il mondo per stage o allenamenti, per la disperazione di mia moglie, mi piace imparare sempre cose nuove per trasmetterle poi ai miei allievi e mi auguro che loro mi considerino un Maestro non tanto per le tecniche che insegno loro, quelle le possono vedere anche su YouTube, ma quanto per i valori che cerco di trasmettere, quali strategie, modi di comportarsi, umiltà e rispetto. Il fatto di essere un gruppo unito, una famiglia, è per me una questione fondamentale, qualcosa in cui credo molto, le tecniche vanno da sé, possono anche cambiare e non è questo quello che voglio insegnare loro… Puoi essere bravo fin che vuoi con la tecnica, ma domani, quando avrai sessant’anni, che cosa ti rimarrà? Solo la tua esperienza di vita, un insegnamento prezioso che puoi trasmettere ai tuoi ‘figli’. È bello sentirsi chiamare Maestro, ma mi sembra più una tappa obbligata che qualcosa di veramente “sentito”; soltanto gli allievi più fidati, quelli che istintivamente si fidano di te e ti seguono davvero, che ti chiamano così e sono perfettamente consapevoli del significato di questa parola.”
Parliamo del Wing Chun. Di che tipo di disciplina si tratta, su quali princìpi di fonda?
“Non tutti intendono il Wing Chun allo stesso modo. Esso nasce come Kung Fu, un’arte marziale che deve essere fatta con perseveranza e duro lavoro (Kung Fu significa proprio “duro lavoro”). Chi lo intende in questo modo lo considera come un’arte marziale dove si imparano delle tecniche, le si mettono in pratica e si diventa bravi nell’eseguirle. Per me, invece, Wing Chun è qualcosa che mi aiuta nella difesa personale ed è in questa ottica che continuo oggi ad insegnarlo. È chiaro che se vengono a me delle persone che sono interessate solo alla tecnica e alla perfezione nell’esecuzione, io me ne accorgo e cerco di dare loro quello che vogliono, solo tecnica. Invece, per me, Wing Chun è combattimento, un sistema di difesa. È un’arte marziale molto personale, le tecniche non vengono percepite da tutti allo stesso modo in quanto essendo ‘il mio modo personale’ di combattere anche se ci sono dei princìpi uguali dietro, è il mio corpo che lo apprende in maniera personalizzata. È compito del Maestro, dopo aver insegnato i princìpi base, capire l’allievo e dare lui quello di cui ha più bisogno. Ovvio, il Maestro deve insegnarlo come lo ha appreso, senza apportare variazioni sul tema, ogni persona poi lo praticherà come il suo corpo glielo consentirà.”
Ci sono anche dei princìpi morali ai quali il Wing Chun si ispira?
“Come in ogni arte marziale che si rispetti, alla base ci devono sempre essere umiltà e rispetto. Rispetto per le persone e per chi ti ha insegnato, nonché umiltà nell’allenamento. Queste due doti, unite alla visione globale della famiglia, sono alla base della mia scuola di Wing Chun. A queste caratteristiche se ne aggiungono altre, alcune sono anche la base del sistema Taoista: usare la forza dell’avversario per ritorcerla contro di lui, essere fluido come l’acqua, la teoria della linea centrale (intesa come la capacità dell’individuo di trovare e mantenere il proprio centro n.d.r.), sono tutte teorie che solo con l’allenamento assiduo si possono mettere in pratica.”
Il Wing Chun è una tecnica adatta a tutti?
“Se uno va ad Hong Kong si rende conto che, laggiù, lo praticano davvero tutti. Nelle scuole, anche di diverso lignaggio, ci sono bambini, adulti ed anziani che lo praticano, la palestra non è un luogo visto come da noi, ma è un punto di aggregazione molto forte. Si va in questi luoghi e si trovano persone di ogni età e fascia sociale: qualcuno che si allena, altri semplicemente chiacchierano o si prendono un thé. Per quanto riguarda la mia scuola, per i bambini utilizziamo un metodo più soft: in questo caso non parliamo di difesa personale, ma di un modo di farli crescere insegnando loro rispetto, umiltà, facendoli giocare e divertire. Gli adulti lo vedono come un sistema di difesa personale, mentre le donne vengono attratte dal Wing Chun, ma poi ho constatato che non molte rimangono, forse perché in questa disciplina c’è un po’ di contatto fisico; anche se non è poi così duro molte non lo gradiscono.”
“È strano anche perché il Wing Chun è stato inventato da una donna e questa disciplina viene pubblicizzata come forma di autodifesa per le donne. Quello che mi fa davvero arrabbiare, però, è quella promozione fasulla con la quale molte scuole cercano di far passare l’idea che con poche lezioni si può far avere ad una donna la sicurezza di non essere aggredita. Niente di più falso, ad una donna neanche con sei, sette, quindici lezioni puoi dare sicurezza sulla strada. Puoi insegnare dei trucchi per non finire proprio ‘in bocca al lupo’, ma la difesa da un contatto fisico con un uomo, per la strada, non è una cosa reale, è davvero difficile. Molte persone giocano su questo equivoco per attrarre più persone possibili nella propria scuola, ma secondo me non è corretto.”
Essendo il Wing Chun una tecnica di combattimento non si rischia di attirare quelle persone che amano menare le mani? Ti è capitato?
“Normalmente, prima di accettare un allievo alla mia scuola effettuo un colloquio preliminare che mi consente di farmi un idea dell’individuo che ho davanti. Voglio capire chi è e se ha delle idee che possono coincidere con le mie. Ricordo che il Wing Chun non è una tecnica per ‘andare ad attaccare briga’, ma è difesa. Dopo aver passato questo primo esame, se per caso qualcuno di agitato è stato comunque accettato dalla scuola mi rendo subito conto se non ha voglia, se non vuole fare fatica o sudare, così alla fine non rimane, abbandona da solo perché io obbligo i mie allievi ad allenarsi con tutti e ad allenarsi anche con chi ha imparato ancora nulla. Se uno ha voglia solo di menare le mani, non ha voglia di darsi agli altri, inevitabilmente lascerà da solo la scuola.”
Ci sono diverse scuole di Wing Chun, la tua in cosa è differente, che cosa si propone di insegnare?
“Prima di incontrare il mio Maestro avevo una concezione diversa delle arti marziali, impari solo quello che ti viene insegnato. Andavo in palestra, pagavo la lezione, prendevo tante botte e imparavo così anch’io a darle. Incontrando il mio Maestro, Ip Chun, tutto è cambiato, lui è riuscito a tirare fuori quegli insegnamenti che anche mio padre mi aveva dato. Rispetto per gli anziani, rispetto per gl’altri, umiltà e forte senso di appartenenza, come una grande famiglia, insomma. Il rispetto è anche dal Maestro verso gli allievi. Quando insegno non colpisco mai un allievo e pretendo che altrettanto facciano gli istruttori; per fare questo bisogna che ci sia armonia fra le persone e ciò è possibile solo se ci si parla, si discute. Se ci sono dei fraintendimenti ci si chiarisce. Si forma quindi una grande famiglia, un concetto difficile da mettere in pratica fra padre e figlio, fra moglie e marito, figuriamoci in un nucleo di un centinaio di persone.”
“In trent’anni di insegnamento ho cercato di creare questo, con qualcuno ci sono riuscito, con altri forse no, però bisogna capire le persone, lasciare loro anche la libertà di sbagliare per imparare dai propri errori, se ogni volta che qualcuno sbaglia viene cacciato come potrà imparare? Io ho sbagliato tanto nella mia vita, ma ho avuto tante possibilità, quindi perché non concederle anche agl’altri? Ovvio, se una persona persevera poi nei propri errori significa che è così il suo stile di vita ed allora viene allontanato. È forse quanto di più difficile mi sia mai capitato di fare nella mia vita, anche perché la fregatura è spesso in agguato. Conosci persone alle quali dai tutto, subito, in termini anche di amicizia, poi ti rendi conto che forse non ne valeva la pena… allora ci rimani male e ti rendi conto che, ok, va bene, il concetto di famiglia, ma forse avere le distanze, ogni tanto, un pochino aiuta. Ora sono in quella fase della mia vita nella quale la famiglia va bene, ma non tutti possono automaticamente entrare a casa mia, un po’ se la devono guadagnare…”
Qual è la diffusione in Italia di quest’arte?
“È una questione di sportività. Il Karate e il Judo fanno parte del Coni, quindi sono rappresentati anche alle Olimpiadi, hanno più visibilità e quindi, di riflesso, una maggiore diffusione. Il Wing Chun è arrivato dopo in Italia, nel 1986, ha meno visibilità perché è un po’ più di nicchia, è meno conosciuto. Non è uno sport; anche se hanno cercato di introdurlo alla gente attraverso avvenimenti sportivi è difficile che prenda piede, infatti, viene praticato solo da chi, davvero, è interessato alla propria difesa personale.”
Quali sono i progetti futuri della tua scuola?
“Nella vita i progetti sono sogni, a volte si avverano altre no, è chiaro che se non lo desideri intensamente un sogno non si avvererà mai! Dieci anni fa, il mio sogno era quello di avere degli istruttori che mi seguissero ed imparassero da me in maniera incondizionata, oggi posso affermare di averli avuti e sono arrivati quasi tutti ad un buon livello. Io ho scelto di insegnare come lavoro, i miei istruttori invece no, quindi capisco che è difficile lavorare o studiare ed allenarsi, insegnare e gestire il concetto di famiglia tutto insieme. Ad oggi ho realizzato gran parte dei miei sogni… quindi non so, forse il mio progetto futuro è che stiano bene loro, che stiano bene quando si allenano, che ci sia ‘Armonia’. Voglio continuare ad insegnare, anche quando mi faranno male le ginocchia o la schiena, e spero che i miei allievi potranno accettare quanto sarò in grado di dare loro: per adesso il 100% di me stesso, più avanti chissà.”
La leggenda legata alla nascita del Wing Chun Kuen
Sono molte le leggende legate alla nascita di questa arte marziale, noi vi raccontiamo quella che sembra essere la più diffusa, anche se ciò non significa la più accreditata.
Durante la dinastia Ming, la corte imperiale fece bruciare il Tempio di Shaolin, sito nella contea Futian, in provincia di Fujian, e perseguitò i suoi monaci e i discepoli laici, nel tentativo di distruggerli completamente. Uno di questi discepoli, Yan Si (Yim Sei) riuscì a scappare insieme alla figlia Yong Chun (Wing Chun) e a sopravvivere come venditore di tofu, formaggio a pasta di soia. Ma il tiranno locale, vista la bellezza di Yong Chun, la obbligò a sposarlo. Ella chiese tre mesi di tempo per potersi preparare al matrimonio. Accadde che in quei giorni passasse di lì la grande Maestra Madame Wu Mei (Ng Mui), la quale, sentito il dramma della fanciulla, se la prese a cuore e volle trasmetterle tutto il proprio sapere e la propria abilità nel combattimento. Tre mesi più tardi, Yong Chun sconfisse il tiranno e chiamò con il proprio nome la scuola di combattimento che aprì per insegnare ad altri quanto lei aveva appreso dalla sua Maestra e potersi così difendere dai tiranni.